Il Podere San Bartolomeo ha una storia lunghissima che inizia un giorno nel lontano Medio Evo con qualche monaco che costruisce la Pieve Romanica dedicata San Bartolomeo, il protettore dei bambini.
Tante e tante volte passando le mani sulle belle e grandi pietre della Chiesina ho immaginato i monaci che col sudore hanno scalpellato, levigato e spostato con pochi attrezzi le pesanti pietre dell’abside, degli archi e delle spesse mura.
Quando mio nonno nel 1954 acquistò il podere, non si sapeva cosa ci fosse sotto l’intonaco scrostato e dietro ad un forno a legna che con enorme vanto della mamma di Orfeo, poteva contenere ben 14 chili di pane.
Orfeo, si Orfeo era la vera anima del Podere. Orfeo era il mezzadro del Podere, probabilmente uno degli ultimi della toscana. Orfeo ha amato questo luogo, ha vissuto queste antiche mura con la sua famiglia, ha amato questa terra più di se stesso, ha protetto il raccolto, era un tutt’uno con le vigne, ma ancora di più con gli olivi. Una volta andai con lui a potarli, nell’oliveta dietro casa. L’olivo doveva prendere aria e luce, c’era da parlare con le foglioline, se erano a testa alta voleva dire che la migna sarebbe arrivata proprio li sotto, ed il ramo proprio non si poteva tagliare, l’albero era proprio come una persona che se eravamo bravi ad ascoltare ci avrebbe comunicato i suoi bisogni. Era anche un apicoltore, adorava le sue api, parlava anche con loro, aveva imparato anche la loro lingua, e quando gli dissi che quell’anno a marzo ci sarebbe tanto piaciuto andare con lui alla fiera più importante sul tema, prima gli brillarono gli occhi, poi incredulo mi disse -ma davvero ti interessano queste cose?-. poi purtroppo a quella fiera non ci siamo andati.
Orfeo non aveva la patente, non aveva mai voluto prenderla. Però aveva una bicicletta bellissima, verde come il suo grande ombrello verde. Poi per questioni di salute gli proibirono di salire in bicicletta, e dato che lui andava sempre avanti e non si guardava mai indietro, si prese un bastone. Nodoso e ruspante come era lui. Perfetto per sostenere le sue lunghe gambe. Ai piedi portava sempre le sue scarpe di vacchetta ammorbidite con la sugna, un tocco di lardo giallo che era sempre appeso in dispensa, pronto all’uso.
Orfeo è sempre stato la memoria storia del Podere, ci aveva vissuto, sempre, ci viveva anche quando non ci viveva più. Sapeva tutti i venti che tiravano al podere, sapeva cosa portavano e cosa portavano via, sapeva leggere le nuvole in cielo, alcuni venti li aveva anche ribattezzati.
Orfeo quando il mio babbo ha ristrutturato il Podere per la prima volta, non ci abitava più al Podere. Aveva una bella casa in paese con la mamma ed i suoi fratelli. Ma tutte le sante mattine alle 4,30 in estate e alle 5,30 in inverno arriva sul Colle, prima con la sua bicicletta verde poi col suo bastone nodoso. Aveva la sua stanza col camino, la sua cucina, il suo pecorino di Gianluca per “culizione”, no, non era una colazione quella che faceva lui alle 8,30 dopo quasi una mezza giornata di lavoro già trascorsa, era un pranzo la sua “culizione”, fatta di pane, pecorino, affettato e un bicchiere del suo vino. lo faceva lui il vino al podere, e da quando non c’è più lui a farlo il vino a me non piace più molto, non ce la faccio…faccio sempre il confronto col suo. A lui il vino del nostro vicino di casa non piaceva, era troppo sofisticato, era troppo” sempre uguale tutti gli anni”, ma come si fa a farlo sempre uguale tutti glia anni?
Lui che quando facevi una bischerata nell’orto era sempre lì, dietro le tue spalle a scuotere la testa e a dire -Bè capo di lavoro tu ha fatto-. Poi silenzioso, con movimenti lenti, prendeva le forbici o la zappa e ti faceva vedere.
Lui sapeva tutte le leggende della “Chiesina”, che non si sapeva mica perchè si chiamava Chiesina ai suoi tempi, quello si scoprì solo nell’89, e quando si scoprirono le speigazioni a quelle leggende, mica gli piacque tanto a lui.
Lui arrivava alle 4,30 in estate e alle 5,30 in inverno anche con l’acqua, tanto aveva il suo grande ombrello verde, anche con la nebbia, tanto conosceva la collina ad occhi chiusi, anche con la grandine e con la neve, tanto aveva le scarpe di vacchetta con la sugna, anche con la calura estiva, tanto arrivava mentre il sole sorgeva.
Lui era ruvido e di poche parole, ma gli si inumidivano gli occhi se capiva che amavi il Podere come lui, lui era ruvido e di poche parole tranne con Vittoria Zoe, era uno dei pochi che riusciva a chiamarla Vittoria Zoe proprio perché quello è il suo nome, lui era ruvido e di poche parole tranne quando guardava Leonardo neonato. Lui non era ruvido e di poche parole. Era ruvido e di poche parole solo agli occhi di chi non lo conosceva.
Lui e’ l’anima del Podere San Bartolomeo. Lui è ancora dentro i tini che abbiamo messo in giardino, perché solo se ci entri dentro li pulisci per bene, Lui è ancora con le spalle appoggiate al muro De Medici a dormire a primavera, Lui è ancora nella vigna, Lui è ancora sulla scala a raccogliere le olive, quella che è diventata il baldacchino nella camera dell’appartamento Ramerino, Lui lo vedo arrivare dal viottolo nelle giornate di nebbia, silenzioso, con la sua bicicletta verde in mano.
Lui che è, ancora oggi, il cuore e l’anima del Podere San Bartolomeo.
Bellissimo racconto di un uomo vero
Vero!